giovedì 20 ottobre 2011

La timida rivoluzione del paywall

Sono ancora tentativi relativamente sparsi. Ma l'opzione contenuti a pagamento seduce sempre più gli editori. Un cambiamento lieve, per certi versi silenzioso, che tende all'alternativa freemium. Ovvero si paga per la qualità, spesso se l'utente è un hard reader.
Bit Mitchell su Poynter (qui) dice che il tempo per il paywall è arrivato. Un appuntamento a cui gli editori sembrano essere arriviati dopo diverse sperimentazioni. Tentativi che hanno delineato con maggiore chiarezza l'equilibrio tra volume di traffico e sottoscrizione. Il più recente esempio, in questo senso, arriva dal Boston Globe, che ha reso a pagamento l'accesso al sito (tariffa flat da 3,99 dollari alla settimana), mentre ha lasciato gratuito il Boston.com, versione meno impegnativa, decisamente più snack news.

Per Mitchell il paywall è pronto per il lancio essenzialmente per quattro ragioni (l'ultima è in realtà un consiglio). Eccole, comprese le mie osservazioni.
1) Esistono utenti disposti a pagare i contenuti di qualità.
- La distribuzione digitale consente a bassi costi marginali di modulare l'offerta in funzione del potenziale pubblico di riferimento -.
2) I contenuti a pagamento spingono editori e redazioni a una maggiore cura della qualità.
- Propensione, a dire il vero, che dovrebbe essere sempre guida, almeno nei suoi conteni base. Il gratis dell'online sottrae valore monetario, ma la valuta economica, fatta di reputazione e attenzione, resta valida per qualsiasi opzione -.
3) La sottoscrizione crea un legame contrattuale diretto con il lettore digitale. Mentre nel free il rapporto è solo con gli investitori pubblicitari. 
- Se la formula dell'abbonamento funziona si diversifica il mercato e la clientela. Anche se l'advertising è e resterà una riferimento imprescindibile per gli editori -.
4) Le strategie devono bilanciare la ricerca di ricavi senza impedire la condivisone dei contenuti sui social media.

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