martedì 15 novembre 2011

Cambia la distribuzione. Non la produzione

In occasione del workshop "Engaging the reader" (Università Cattolica di Milano, 14 novembre 2011), Michele Mezza ha sostenuto l'ipotesi di un futuro prossimo senza giornali e giornalisti. La rivoluzione sociale della Rete potrebbe rendere inutile la professione d'intermediario dell'informazione.
Tesi provocatoria che non convince. Anzi credo - come ha sostenuto Nicola Bruno nel corso dell'incontro - che le nuove tecnologie offrano nuove opportunità.

Non si deve confondere l'imponente mole dell'autocomunicazione di massa con l'informazione. In gran parte è condivisione di materiale proveniente dai media tradizionali. Il contributo originale, oltre al rumore del chiacchiericcio a buon mercato, rappresenta una decisa minoranza.
Il giornalismo dal basso sta diventando una parte importante, ma integrante dell'ecosisiema. Un processo di affiancamento e non di sostituzione.

E non può che essere così. Se sinteticamente si raggruppano quattro aggregati che producono i fatti, ovvero:
ISTITUZIONI POLITICHE - ESTERI - CRONACA - SPORT
è evidente che la copertura - anche nell'ottica della trasparenza e di tenuta democratica - richiede la presenza di una filiera produttiva in grado d'investire denaro e tempo. Una vasta moltitudine di citizen journalsit non avrebbe la forza di sistema per svolgere questo compito.

La cosiddetta disintermediazione riguarda la distribuzione, con tutti gli effetti negativi sui conti economici delle case editrici. Mentre il ruolo e la funziona sociale dei professionisti dell'informazione sono rimasti sostanzialmente inviariati. 

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